
DINAMISMI 2023
Mario Costantini
CODICI AD INTRECCIO a cura di Antonio Zimarino
Venerdì 21 aprile 2023
Codici ad intrecci di Antonio Zimarino
Le strutture geometriche sembrano avere la funzione di contenere e gestire internamente alla “geometria logica”, al segno nitido del contorno, una sorta di caotica agitazione
interna espressa con fili, tensioni e sovrapposizioni illogiche, intrecciate e confuse.
Con la sua ricerca nella cosiddetta “fiber art” sembra che Costantini stia oggi lavorando su due aspetti formali fondamentali del minimalismo, un approccio da lui costantemente approfondito e riscoperto nella sua parabola di ricerca artistica:
da un lato c’è la forma, la struttura di un’opera che si scarnifica fino alle sue linee, ovvero al suo“disegno” nello spazio; dall’altra, il contenuto, i volumi le eventuali rappresentazioni che ugualmente si sfrangiano e si frantumano contraendo
sia loro volta in segni e in linee cromatiche di ciò che resta della realtà stessa.
Molte le domande che questi “testi” pongono sia a livello di scelta formale che di possibile lettura: tendono a contraddire o forse ad esasperare i limiti della tradizionali concezioni di scultura o del disegno, che pure Costantini ha sempre praticato
nel suo percorso artistico. Volumi e disegno sono degli strumenti che si adattano in genere, all’illusione mimetica ma qui non vogliono essere usati come tali ma “al contrario” come strumenti per superare il realismo e accedere ad un linguaggio “base”,
ad una sorta di “codice a barre” capace di giocare tra percezione emotiva e costruzione razionale.
Ridurre il linguaggio all’estremo delle linee (anche di colore) pone l’osservatore in una condizione molto interessante: stabilire la relazione simbolica tra quando esse vengono disposte dall’artista per “regolarità” equilibrata di forma (percezione
logica ordinativa) e quando invece le dispone in un rapporto caotico/irregolare (percezione a-logica emotiva). L’artista vuol farci lavorare simbolicamente sui codici essenziali della visione che sono anche i codici essenziali della percezione e la
radici stesse dei processi percettivi / immaginali: dal disordine all’ordine e viceversa, ovvero, l’essenziale rapporto generativo
trakhaosΧάος,/kosmos κόσμος all’origine del pensiero occidentale quindi, costante condizione generativa delle forme stesse.
Ma dove ci porta questa riduzione minimale linguistica? Ci porta esattamente a destrutturare il consueto e ad aprire la nostra possibilità di “simbolizzazione”, che per altro appare in questa mostra orientata in due direzioni davvero interessanti: alcune opere ad es. Homo (2012); Divina Commedia (2020) richiamano il “libro” come simbolo - contenitore di saperi evidentemente confusi confondibili, contraddittori, intersecati, inestricabili; altri lavori richiamano strutture cosmiche, stellari, vettoriali o “mappe” ma costituite esattamente dalla stessa inestricabile complessità di una pagina di un libro. Vogliamo leggere, mappare, viaggiare, conoscere, definire ma al massimo riusciamo a delineare un’area senza mai arrivare esattamente a capire cosa essa possa o debba contenere, se non a sua volta, altri universi, suggestioni ipotesi indeterminabili ma che pure possono tenere insieme quella “ipotesi” di struttura. E’ un continuo gioco di ipotesi e possibilità, di connessioni intuibili ma inestricabili, di forze “interne” che cercano di tenere insieme delineazioni, comunque pronte ad esplodere se quello stesso intreccio interiore perda coesione. L’interiorità e confusa e irrazionale, ma tiene insieme ipotesi di senso, di conoscenze e di viaggi. Credo che questo strenuo lavoro di equilibri tra ipotesi e tensioni (per altro non percepibili se non attraverso la scarnificazione stessa dei tradizionali linguaggi della rappresentazione) possa essere meglio compreso analizzando proprio il lavoro intitolato Divina Commedia: una struttura solida composta da tre “pagine” (le cantiche, le terzine) fili multicolori che tengono insieme tre “simboli” costituiti da altrettanti fili in cui riconoscere alternativamente, cerchi concentrici, elementi conici o circolari ascendenti/discendenti; le trame lasciano intravvedere e riescono a legare realmente e visivamente da ogni punto di vista, ciascun simbolo, uno nell’altro, uno attraverso l’altro senza che nessuno sia realmente dominante e preponderante. Una perfetta rappresentazione dell’Uno e del molteplice e delle loro connessioni infinite.
Emanuela Barbi
TEMPOCEANO a cura di Antonio Zimarino
Domenica 22 gennaio 2023
Tempoceano di Antonio Zimarino
I lavori di Emanuela Barbi hanno sempre avuto una loro particolare qualità che obbliga chi veramente voglia entrare in contatto con essi,
a cercare le possibili connessioni visive e formali per ricostruire e ricomporre i dati di ciò che osserva. Di fronte alle forme, ai nessi, ai legami, alle immagini, ai dettagli e ai suoni, bisogna prendersi un proprio
“tempo” per distinguere cosa esse davvero siano, senza pretendere di sapere cosa sarebbero per noi. Esse ci chiedono dunque un “tempo” di lettura, è questo tempo è molto importante perché ci aiuta non semplicemente a
riconoscere ma a conoscere, a capire l’identità di ciò che si vede che è poi l’unico modo coerente ed efficace per provare ad
interpretare.
Ed è così anche per questa proposta pensata per Spazio InAngolo: ciò che lega tra loro la diversità degli stimoli visivi chiede un rapporto intimo e aperto, un andare in profondità con il senso di ciò che propongono cose,
oggetti, forme, spazio e immagini. Credo che questo sia un punto fondamentale del rapporto che va stabilito con l’arte contemporanea: cercare cosa essa propone, cercare cosa di ulteriore ci possa dire; guardare prima “lei”
e non tanto noi stessi e ciò che pensiamo di sapere. Le opere non facilmente categorizzabili, i sistemi aperti, gli equilibri insoliti chiedono una intelligenza ed un “tempo” interiore particolare per svelare e suggerire in
noi le possibilità dell’interpretazione, ancorandoci alla conoscenza dell’identità per aprirci poi alla possibilità. Solo così e solo con opere non categorizzabili può iniziare un viaggio splendido e senza meta certa,
che riguarda il “pensare” attraverso le immagini e il dato estetico.
Proviamo allora a percorrere simboli e relazioni e vedere come questo viaggio possa comporsi o quali sensi possa aprire. Le immagini bidimensionali stampate sui teli sono quelle di un mare e di una spiaggia: l’artista le
ha chiamate “veroniche” e già questo termine da solo suggerisce un approccio misterico tra realtà e immagine. La
Veronica nei Vangeli è l’immagine del volto del Cristo morente: il mare è quindi “divinità” in sofferenza
perché nel nostro contesto storico è sempre più caratterizzato come un luogo che raccoglie ciò che noi “rifiutiamo” ed è drammatico accorgersi che noi oggi non rifiutiamo più solo “cose”, ma persino gli esseri umani che
cercano di attraversarlo nella speranza di una vita migliore e del cui dramma rimane solo il ricordo di una voce e la sua tensione disperata. Questi “sudari” si elevano, ascendono tirati verso l’alto, stabilendo una
connessione visuale con un ipotetico cielo che li raccoglie e li richiama a sé, ma appaiono anche come “sipari” che svelano tanto la possibile perdita di senso di ciò che è rappresentato che la necessità di prendere
coscienza di questa perdita.
Il mare, così come il cielo sono “luoghi senza misura”, sono “oceani”, che simboleggiano continuità, vita, mistero, flussi, destini e orizzonti all’interno dei quali muoviamo e costruiamo i nostri rapporti con il vivere.
Ma non solo noi: il mare che oggi stiamo in qualche modo “negando” è in realtà il luogo della nascita della vita il cui splendore e magnificenza si manifesta anche nelle cose più piccole e nelle “residuali” forme di vita
che possiamo trovare su qualsiasi spiaggia. Le conchiglie, anche soltanto con le loro forme essenziali diventano elementi di composizione e di immaginazione: normalmente ci appaiono piccole, fragili e insignificanti ma se
riusciamo ad osservarle con attenzione diversa (e qui la fotografia diventa elemento analitico straordinario quando il suo “guardare” riesce a rivelare tutte le potenzialità immaginali dell’oggetto) quei piccoli gusci
diventano autentici “monumenti” (dal latino monimentum ricordo, prova, testimonianza) di ciò che invece la vita, se pur minima, è in grado di lasciare.
La madreperla dell’essere vivente che le abitava, ha lasciato una straordinaria immagine della sua “piccola” vita: adesso, di fronte ai nostri occhi e attraverso lo sguardo empatico dell’artista che le svelate, diventano universi autonomi di luce e colore e i loro cromatismi sembrano suggerire paesaggi, cieli, temporali, riverberi di luce e movimento costante come se li restasse impressa tutta la complessità inesauribile di qualsiasi vita e della vita stessa. Anche l’elemento residuale ha in sé una storia e inattese potenzialità simboliche e di senso: secondo il nostro modo di guardarlo può generare altre forme (un volo, una goccia): ogni cosa, anche nel dramma, può diventare generativa se siamo capaci di guardare apertamente e diversamente. Ma non c’è solo questo, ci sono piccoli rumori da cogliere intorno, c’è appena distinguibile, una piccola traccia o sentore d’ “acqua”, forse il vero elemento unificatore tra tutti i punti di questa “visione”. Di essa non vediamo rappresentazione ma non possiamo pensare che non ci sia: il suo appartenere cromaticamente e chimicamente al cielo e all’aria la rende “luogo e sostanza della vita”, che microscopica nasce in essa e per essa, capace nel tempo di creare “monumenti”, legami, meraviglie solitamente sconosciuti. Cosa risulta allora da questa complessità di stimoli visivi, formali, simbolici che si intersecano in questa particolare installazione? Certamente qualcosa di “non concluso”, certamente l’esperienza della coesistenza di dramma e speranza, certamente una attesa, una sospensione. Ma non è questa in fondo la sospensione esistenziale propria di chi vive la “contemporaneità”? Non è questa esperienza dell’essere con il tempo quella che F. Ferrari considera il nucleo drammatico ed irrisolvibile della “pratica filosofica” di ogni tempo? ¹. Dunque credo che questa installazione sia innanzitutto frutto di una partecipazione appassionata dell’artista al “tempo” e allo spazio profondo del nostro vivere e che sia il tentativo di condividere con noi questa attesa, questo desiderio di essere e partecipare consapevoli al vivere che scorre e che fluisce, inatteso e imprendibile, pieno di dubbi, dolori, ma anche di orizzonti e possibilità. Credo che se vi entriamo con attenzione lasciando parlare le opere (piuttosto che ostinarsi a parlare per esse) si apra anche per noi il senso di una riconnessione intima e profonda con uno stato esistenziale di equilibrio tra gli elementi fondanti del nostro essere, della nostra “chimica” e della nostra relazione con ogni briciola della creazione. E questo ricomporsi di sensi e significati in noi diventa contemporaneamente “conoscenza”, ed emozione, analisi e immaginazione, scoperta e rivelazione. Se possiamo vivere questo, stiamo facendo un’esperienza di ciò che “arte è” e dovrebbe essere: uno spazio infinito, come un oceano vivo, nel quale stupirsi di ciò che vi si può trovare.
¹ F.Ferrari, Introduzione, in: Del contemporaneo, Saggi su arte e tempo,B. Mondadori, Milano, 2007, p. IX
inangolo © 2023 - tutti i diritti riservati